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anni variata maniera, ed ordine, ed edifìcii; perchè prima tutti erano architettati alla gotica, diciamo Napoli è


    tarono fin da’ tempi più remoti questa parte d’Italia, come attestavano Antioco, Polibio, ed Eliano, e che perciò furono da Virgilio chiamati antichi:

                   Antiqui Ausonii quae vos fortuna quietos
                   Sollicitat, suadetque ignota lacessere bella?

    (Aeneid. lib. 2° v. 240).


       E di vero molti Pelasgi giunsero allora alle nostre regioni, ed il nome stesso Falero affine si mostra a quegli altri parecchi, onde essi, come innanzi vedemmo, i luoghi contrassegnarono. Ma non sappiamo il certo tempo in che fu alzata la torre di Falero, e solo ci è dato conghietturar dalle parole di Licofrone essere stata anteriore a Partenope, una delle Sirene che vi ebbe la tomba. Ed eccoci a disaminare come e perchè la favola delle Sirene strettamente si leghi con la fondazione della nostra città.
       I vaticinî fin da’ tempi più antichi eran pronunzati cantando e dalle donne. Or le Sirene altro non furon che due di tali donne dalle terre dell’Acheloo venute fra noi su i navigli de’ Teleboi, le quali partite da un luogo famoso per i profetizzanti Cureti, approdavano a’ nostri, nelle cui vicinanze la negromanzia de’ Cimmeri era in gran voce. Scelsero à stanza Capri, luogo marittimo, perchè l’acqua credevasi dotata di profetica virtù, ed in quella spiaggia predicevano a’ viandanti il futuro. E siccome l’arte del canto è dono di natura conceduto largamente agli abitanti di questa parte meriggia d’Italia, però fu detto pronunziar quelle i loro vaticini con tale dolcezza di voce, che uomo ascoltandole, dimenticherebbe la consorte, la patria ed i figliuoli, anzi ridurrebbesi a perir di fame in lido straniero, come venne adombrato con i putrescenti cadaveri e con le ossa di che il re d’Itaca vide biancheggiare la spiaggia delle Sirene. Le quali cose dal nome stesso che portano quelle melodiche insidiatrici, rimangono confermate; imperocchè senza derivarlo coi fenicizzanti da cantico, crederlo potremo una onomatopea con che i Greci delicati esprimevano il soave mormorare dell’onde ed il dolce garrir degli uccelli. E chi non vede come