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del fantastico in letteratura |
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più famigliare di quelli ove egli ha smarrito l’ippogrifo; quando i suoi canti risentono d’una ispirazione sopranaturale o sembrano provenire da un altro mondo? Colla mente piena dello studio degli antichi, egli non isdegna di rapir qualche lembo alle loro spoglie; ma ciò non fa mai senza adattarlo al carattere, alla fisonomia de’ suoi personaggi e al libero andamento delle sue composizioni. Egli è indipendente anche quando obbedisce, ancora nuovo quando imita, e non si sottomette alla fantasia degli altri che per sazietà della propria, la cui profusione lo stanca e lo nausea. Gli è che egli ha rubato lo scrigno d’Alcina o i tesori segreti delle miniere del Cattai e il pudore dell’opulenza gli insegna a mescolare di tanto in tanto le ricchezze più volgari a quelle dì cui dispone con tanta facilita. Dopo l’Ariosto e i suoi fiacchi imitatori, il fantastico non si mostra quasi più nella letteratura italiana; e ciò è spiegabilissimo; l’Ariosto lo aveva esaurito. Chi crederebbe che questa musa dell’ideale, figlia elegante e fastosa dell’Asia, si rifugiò lungo tempo sotto le nebbie della Gran Bretagna? Spaventata forse dalle pompe malinconiche del Nord il cui teismo lugubre l’aveva portata fino al trono di Odino e delle vaporose finzioni della Scozia, dove l’arpa del bardo non si marita che al fracasso delle clay mores1 ed ai muggiti delle tempeste, essa cercò bentosto di riposarsi di quelle immaginazioni vive e ridenti che avevan rallegrato dei loro canti voluttuosi le prime feste della sua infanzia. Venne Shakspeare, che conosceva appena nella cerchia della sua isola, orbe tota divisa, secondo l’espressione di Virgilio, le meraviglie del mondo fisico, ma che le aveva scorte in qualche sublime visione e che comprendeva i prodigi del regno del sole come se vi avesse passeggiato in sogno nelle braccia di una fata; poichè Shakspeare e la poesia è la stessa cosa. Spencer non aveva fatto che tracciargli la via; egli l’allargò, la prolungò, rabbellì di nuovi spettacoli, la riempi, l’inondò di figure più fresche, più aeree, più trasparenti delle apparizioni fuggitive dei sogni mattutini; egli vi guidò le danze romantiche d’Oberon e di Titania e de’ genii, i quali col piede più leggero di quello di Camilla toccano essi pure la zolla senza calpestarla; vi seminò que’ fiori olezzanti di profumi celesti che si aprono ai tepidi calori dell’aurora per ricevere il popolo notturno degli spiriti e stan chiusi con lui fino a sera come padiglioni incantati; egli sparse nell’aria de’ splendori ignoti, accordò delle lire celesti, che
- ↑ Lunga spada a due mani in uso presso i popoli della Scozia e delle Ebridi.