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194 capitolo ventiduesimo


preferito di scansarla piuttosto che andare a cercarla. É stato forse anche questo uno dei privilegi degli antichi, che per loro il supremo patetico era anch’esso un puro gioco estetico, laddove presso di noi è indispensabile, a produrre un tale effetto, la cooperazione della verità naturale?». A tale domanda, ispirata a un senso così profondo, ci è dato ora di rispondere affermativamente dopo le piagnifiche conoscenze che abbiamo apprese, dopo che appunto sulla tragedia musicale abbiamo con stupore fatto esperienza, che il supremo patetico può pure non essere altro che un semplice gioco estetico; ragion per cui ci è lecito credere, che non prima di adesso si possa descrivere con buon risultamento il fenomeno primordiale del tragico. A chiunque, ciò nonostante, non ha altri argomenti di cui parlare che gli effetti posticci presi dalle sfere estraestetiche, e non si sente sollevato al disopra del processo patologico-morale, non rimane altro, che disperare della propria natura estetica; e perciò gli commendiamo, come innocente compenso, l’interpetrazione di Shakespeare alla maniera di Gervinus e l’industre ricerca della «giustizia poetica».

In tal modo, con la rinascita della tragedia è rinato anche l’ascoltatore estetico, al cui posto ha usato finora assidersi in teatro un bizzarro qui pro pro, con pretese mezzo morali e mezzo dottrinali: vale a dire il «critico». Finora nella sua sfera tutto era artificioso, tutto intonacato superficialmente con solo un’apparenza