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146 | capitolo diciassettesimo |
della paura e della compassione, noi siamo i viventi beati, non come individui, ma come l’uno vivente, col cui piacere generativo ci siamo fusi.
La storia dell’origine della tragedia greca ci dice ora con luminosa precisione, che l’opera d’arte tragica dei greci è nata effettivamente dallo spirito della musica; idea mercè la quale crediamo di avere per la prima volta interpetrato giustamente il significato originario e tanto singolare del coro. Nello stesso tempo dobbiamo però concedere, che l’importanza sopra esposta del mito tragico non è stata mai compresa con chiarezza concettuale dai poeti greci e nemmeno dai filosofi: i loro eroi parlano, in certo modo, più superficialmente di come agiscono: il mito nella parola parlata non trova menomamente la sua obiettivazione adeguata. La connessione delle scene e dei quadri rivelano una sapienza più profonda di come il poeta stesso non l’afferri con le parole e i concetti: che è lo stesso che si nota anche nello Shakespeare, il cui Amleto, per esempio, in questo medesimo senso, parla più superficialmente di come agisce; talmente che la teoria dianzi menzionata sull’Amleto bisogna dedurla non dalle parole, bensì da una approfondita visione e ponderazione del complesso dell’opera. Quanto alla tragedia greca, la quale veramente ci è nota solo come dramma parlato, io anzi ho chiarito che cotesta incongruenza tra il mito e la parola potrebbe facilmente traviarci a ritenerla più leggera e meno importante di come è, e quindi a presupporle