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Una giovinezza del secolo XIX 25


Sul cielo grigio e nuvoloso delle mie più antiche memorie si apre uno sprazzo di luce che compendia tutta la felicità della mia infanzia; è duopo però che io menzioni prima un’altra delle mie grandi infelicità: la scuola. Credo che pochi sieno andati a scuola così mal volontieri come andavo io. Ne conobbi due di scuole: in entrambe la mia esperienza fu eguale. Regolarmente riuscivo antipatica a tutte le maestre; ai professori no, nemmeno a quello d’aritmetica, che si accontentava di guardarmi con benevola compassione quantunque io terminassi i corsi senza sapere la somma, (come non la so al presente). Fra le compagne cercavo affetto, ma difficile riusciva l’accordo assoluto, perchè fin da allora avvertii quell’ostacolo, quella specie di malinteso fra me e i miei simili che doveva fare di me una solitaria; che se talvolta l’acceso desiderio potè indurmi a credere realizzato il sogno, troppo sovente seguì il disinganno, a scuola e poi.

L’insegnamento ai miei tempi era una miseria. Per le famiglie della borghesia la scuola privata non lasciava altro scampo. Vi si accumulavano prima inferiore e prima superiore, seconda inferiore e seconda superiore così fino alla quarta superiore, dalla quale si usciva a educazione finita senza conoscere un solo verso di Dante. In