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Le ombre simpatiche di Foscolo, di Byron, di Musset, della Staël, della Sand, di tutti quelli che amarono Venezia nella voluttà della sua laguna, nel sorriso del suo cielo, nei foschi misteri de’ suoi ponti di marmo, nei silenzi delle brune arcate, ombre di poeti, ombre d’artisti, ombre d’amanti, poterono scivolare tranquille lungo i muri verdastri battuti dalla luna.
Olimpio non le vedeva.
La donna, col capo fra le mani pensosa, sembrava estranea a tutto quanto la circondava.
— Mia bella, tu non mi rendi molto allegra questa notte!
Ella si scosse.
— Perdonami, Olimpio, sono tanto infelice!
— Si può sapere in che modo?
— Io t’amo, t’amo sempre come ti amavo sui colli del mio paese, quando, forosetta ardita, ti seguivo alla caccia bramosa d’un tuo sguardo, avida d’un tuo sorriso. Io t’amo come ti amavo il giorno in cui mi lasciasti, e ch’ebbi a morirne di dolore...
Si interruppe arrossendo.
— Qui subentra, m’immagino, il periodo delle consolazioni — saltiamolo pure se t’accomoda e veniamo al presente. Cosa fai qui?
— Sono maritata.
— Cospetto! è una bella posizione.