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Il sole, la luna, le stelle. 95

pure d’un giovine pastorello, d’un giovine suonatore di flauto d’agreste cornamusa, che viene ucciso; ma sulla sua tomba risorge una pianta vocale e dolente che ci dirà il nome dell’uccisore come la il corniolo del Polidoro virgiliano. Il flauto divino è immortale, come la luce. Quando l’aurea luce s’accende nel cielo, tutto il mondo risorge, favella e canta; il lungo silenzio rendeva fioche le ombre dantesche, e Dante stesso chiama muto un luogo privo di luce. La luce è perfetta armonia; dalle stelle risplendenti parve uscire una grande sinfonia celeste: le stelle fra loro si parlano; e tutte insieme formano quello stupendo concerto che un walzer dello Strauss mi sembra avere tentato invano di farci risuonar negli orecchi. Quella musica divina penetra nell’anima nostra in modo troppo misterioso, perchè alcuno strepito violento di note musicali terrene possa determinarlo. Guardando il cielo stellato, un sentimento poetico e religioso s’impadronisce delle anime nostre; nessuno è con noi, e pure contemplando ad una ad una e tutte insieme le stelle, non sentiamo quasi più la nostra solitudine profonda; ogni stella ci splende amica e ci dice una sua parola, e quella parola arcana ci acqueta le interne tempeste e compone nelle anime nostre i loro dissidî dolorosi. Anche il gran scettico di Recanati, che sdraiato alle falde del Vesuvio, contemplava quasi moribondo ora il mare, ora il bel cielo stellato di Napoli, non seppe resistere al fascino immenso di quella armonia di astri lucenti negli spazi infiniti, e trovò in essi un’ora di pace, disperata bensì ma pace; egli conchiudeva bensì