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dei compagni di questo. Dà in Toscana il suo nome a tutto ciò che è progresso, libertà; s’atteggia a partigiano di riforme politiche; protesta contro lo sgoverno dei preti negli Stati della Chiesa. Ma egli si fa innanzi negli anni ed ecco che l’amico d’Ugo Foscolo si fa guelfo; ecco che egli si fa chiudere in faccia la porta di casa di G. B. Niccolini, che non vuol saper di papi liberaleggianti cui lascia all’adorazione dei Girella. Ma il Capponi non si ferma qui; risorta l’Italia, malgrado che il partito neo-guelfo del 1848 sia stato un’enorme disillusione, egli s’imbranca fra i liberali cattolici, fra i partigiani d’una miscela impossibile, irragionevole, stupida, quella cioè, della libertà e della sagrestia, della resurrezione d’Italia e di Roma conservata al Papa per farne quello sgoverno ch’egli stesso, il Capponi, nel 1846, stigmatizzava con parole di fuoco sull’Ausonio di Parigi; si spaventa del matrimonio civile, benchè Massimo d’Azeglio, in fama di conservatore, si affatichi a provargli come un po’ di sciarpa tricolore nel settimo sacramento non mandi in malore nè Dio, nè i santi, nè la società. Negli ultimi anni della sua vita, il guelfismo lo rese poi suo mancipio. Laonde oppugna Roma capitale dell’Italia e nella breccia di Porta Pia non vede che il principio della fine: triste presagio che il patriottismo degli italiani disperse. E perchè non gli manchi nemmeno la fede dei poveri di spirito, crede nei miracoli e manda a Napoli quattrini per la canonizzazione d’un frate1.

  1. Della semi-bacchettoneria in cui era caduto il Capponi negli ultimi anni della sua vita, fa fede il suo Epistolario. Il 19 ottobre 1864, avendo saputo che la sede del Parlamento d’Italia sarebbe stata nel convento di San Firenze, scriveva al padre Capocelatro: „Si poteva cercare un luogo al Parlamento, senza bandire da Firenze San Filippo Neri.„ Esagerazione che appena appena in quei giorni sarebbe stata a posto in bocca al più rugiadoso campione del paolottismo; imperocchè, a Firenze, anche mettendo la sede del Parlamento nel convento di San Firenze, non si sarebbe punto bandito San Filippo. Il 7 novembre dello stesso anno, a proposito del concetto di Roma capitale, il Capponi scriveva a S. L. Morelli: „La fisima romana... è là a guastare ogni cosa.„ E al Reumont, avvenuta