Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/195

182


La musa clandestina non s’ispirava solamente alla politica: pigliava argomento di scoccare dardi, che si conficcavano nella piena carne, dai fatti della cronaca quotidiana.

Nel 1826, un’aspra battaglia impegnossi tra i letterati toscani a proposito del noto verso di Dante:

Durante la lotta, che fu combattuta a furia d’inchiostro e col sussidio di codici rovistati in tutte le biblioteche del Granducato, un dubbio terribile amareggiò l’animo e turbò i sonni e la digestione di quei buoni letterati. Il conte Ugolino, passato il dolore, si nutrì delle carni dei figli e dei nipoti? Oppure, sopravvenuta la fame, questa, vinto il dolore, uccise il prigioniero? La prima interpretazione fu sostenuta con tutti i sofismi d’un avvocato imbottito di testi danteschi e d’arzigogoli filologici dal fecondo Carmignani, al quale un poeta anonimo scoccò il seguente epigramma:

Che un uom per fame mangi i figli morti
     Non può strano sembrare a un avvocato,
     Che divora per genio disperato
     Vivi coi figli i padri e i lor consorti.

L’epigramma che segue, fu scritto in occasione della messa celebrata in Santa Croce, nel 1841, per inaugurare i lavori del Congresso scientifico riunitosi allora a Firenze. A spiegare lo stesso si premette che i preti, per salvare come suol dirsi la capra e i cavoli, visto e considerato che una messa doveva celebrarsi e per obbligo d’ospitalità dinanzi ad un uditorio di sapienti, fra cui notavasi più d’un dotto luterano d’un letterato evangelico, omisero nella messa il Credo e il Gloria.

Una messa in Santa Croce
     Senza Credo a bassa voce;
     Senza Credo pei credenti,
     Senza Gloria pei sapienti.