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Ad un Amico.

Dolce moto in cor mi sento
D’una speme, che mi dice
Cile sovente un infelice
Può trovar qualche pietà.

Se una lagrima, un lamento
Spargerai sulla mia sorte,
Dell’onor d’ingiusta morte
L’alma mia trionferà!

E pensare che pochi anni prima strofette simili a quelle improvvisate dal povero Luigi Rossi, l’abate e poeta cesareo Pietro Metastasio poneva sulla bocca degli eroi dei suoi drammi per essere cantate sui teatri Imperiali e regi di Vienna da gole certamente non destinate al capestro del boia!

Ma la letteratura clandestina prese un notevole incremento in seguito agli avvenimenti di Parigi e di Bruxelles del 1830, che ebbero il loro contraccolpo in Italia in quelli di Bologna e di Modena del 1831. La stampa fu allora adottata come il mezzo più efficace d’apostolato politico. La redenzione dei popoli fu affidata alla penna. Si continuò a cospirare, ma più che nelle congiure e nei moti sì cominciò ad aver fiducia nella forza delle idee. Laonde gli apostoli della penna non mancarono nelle file dei liberali. Ce n’era piuttosto di soverchio. Erano, peraltro, liberali quasi tutti i migliori scrittori del tempo. Il Mazzini, capo della Giovine Italia, non sapeva soltanto organizzare cospirazioni; sapeva scrivere proclami, che mettevano la febbre addosso alla gioventù. D’ordinario gli stampati rivoluzionari arrivavano clandestinamente dalla Svizzera, da Malta, dalla Corsica, da Marsiglia, dall’Inghilterra; ma in Toscana, ove i censori erano arrendevoli, o troppo buoni, più d’una volta si tentò e si ottenne di far passare col visto della stessa censura, della roba incendiaria.

Nel gennaio del 1833, in una raccoltina di versi dedicati alla cantante Rosa Botrignani-Bonetti e distribuita in teatro nella sera della beneficiata dell’artista, col permesso dei