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ga per dire sin dove si sia spinto il poeta col suo amore, pure è da credere che l’autore dei Sepolcri non si sia appagato di qualche dolce sorriso o di qualche espressiva stretta di mano, dal momento che le male lingue fiorentine — e, Dio buono! qual’è il paese che non ne abbia almeno una dozzina? — parlavano a bassa voce di certe visite misteriose che la leggiadrissima e nobile dama faceva ad Ugo. Probabilmente la signora non avrà fatto quelle visite che per ammirare con più agio, nella solitudine del sacello domestico, al di fuori della presenza d’ogni profano, uno degli iddii maggiori del Parnaso italiano. Gli è certo però che alla contessa la corte piaceva, e molto, e nei romanzi galanti ch’ella ripetutamente nella sua lunga carriera di bella mondana ebbe ad imbastire, l’azione semplice, senza intrighi, come quella del famoso racconto dell’ottimo abate Bernardino di Saint-Pierre, non le andava a sangue. Amava, all’incontro, i romanzi d’amore a duplice azione: la qualcosa, come ognun può rilevare da sè, mentre era una violazione delle regole aristoteliche sulle famose unità che allora in Italia tutti rispettavano, formava intorno alla formosa donna una certa riputazione di ruba-cuori e d’ammazza-uomini, che la metteva in una luce assolutamente equivoca presso quel numeroso e rispettabilissimo stuolo di dame a cui l’età o la bruttezza non permetteva di fare altrettanto. E quando il poeta partì, la contessa gli diede subito un successore nel generale Pignatelli, comandante allora le truppe napoletane d’occupazione: un Dio-Marte, in verità, piuttosto attempato, pieno di decorazioni, di ferite e di reumi, ma galante e gran signore.
Ma un bel giorno — brutto pei nostri due amanti — Marte-Pignatelli lasciò Firenze, e la gentile contessa nelle deserte ed ampie sale del suo palazzo s’annoiava maledettamente. Gli appunti di Polizia da cui attingiamo queste notizie, dicono che la nobile signosa era desolata per la partenza del suo cavalier-servente. Vi si legge proprio così come se l’autore di quegli appunti scrivesse non nell’anno del Signore 1815, ma verso la metà del secolo XVIII,