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essere stato posseduto dal Cardinale Bembo, e da  Torquato suo figlio, egualmente che quello di Terenzio, passò in potere di Fulvio Orsino, e da lui fu lasciato alla Libreria Vaticana, in cui sino a’ tempi nostri vi stette. Contiene esso soltanto frammenti della Georgica e dell’Eneida di Virgilio: sono però questi in lettere maiuscole scritti, e sparsi frequentemente di figure che mostrano vestiti, armamenti, riti, ed usi dell’antichità, e rendono il codice in singolare maniera caro agli eruditi. Lo Schelestrate inclinava a crederlo del tempo di Settimio Severo (in edit. Bottari 1741. Præf, p. IV.), nè il Mabillon aveva difficoltà  di crederlo scritto prima di Costantino il grande (Iter Italicum litterarium, p. 61.). Il Winkelmann si persuase di poter fissare l’età  sua, osservando che da un ragguaglio nel medesimo libro, e dell’età  medesima di esso risulta essere quel codice e quelle pitture effettivamente dei tempi di Costantino (T. II. p. 409. ed. di Roma): nessun altro però, che io vegga, non solo ha prodotta tal prova, ma neppure ha fatto motto di questo ragguaglio. Rimane pertanto che dietro al saggio del carattere, presentato al pubblico nell’edizione di tutto il codice, fatta da Mons. Giovanni Bottari in Roma l’anno 1741 e riprodotto nella Diplomatica Francese de’ Benedettini di San Mauro (T. III. p. 50.), si debba reputare del secolo quinto, a cui lo attribuisce anche l’Abate Rive (Prospectus d’un ouvrage sur les miniatures des Manuscrits, 1782. p. 11.), consentendovi pure l’eruditissimo Sig. Heyne ne’ prolegomeni dell’insigne suo Virgilio (p. xxxvii. ed. Lips. 1788), dove gl’Italiani riprende come troppo facili a spacciare li monumenti loro per assai più antichi di quel che veramente essi siano. Le figure tutte del codice si avevano inta-


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