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170 arco traiano

stretta al cuore nel vedere che vi manchi uno dei pezzi più importanti, certo proprio quello che definiva il quadro, che gli dava il vero significato. In tutte le antiche incisioni che mi son venute fra mano ho notato che vi è segnata questa mancanza, la quale io stimo prodotta da grande tremuoto dei secoli scorsi, avendo osservato che una lesione, anzi uno spaccato bene appariscente, corre in diagonale dall’attico e proprio dal quadro presente sino al fornice. Caduti da si grande altezza, i pezzi che mancano non ebbero anima pietosa che li avesse raccolti, e andarono perduti. Chi sa se il tempo li rimetterà in luce per fortuna di qualche scavo o di qualche diroccamento di muraglie vicine.

Ma, fatto notevole, mentre questo quadro è mancante del suo pezzo più importante, le figure che ne restano, meno le solite mutilazioni degli antibracci o delle mani, si mostrano nell’insieme molto meglio conservate che in qualsiasi altro quadro del monumento. E fu fortuna, perchè in questo quadro può farsi uno studio coscienzioso ed esatto dello stile e dei pregi delle sculture del nostro arco. Solo a guardarlo nello insieme esso ci attrae, ci seduce più che gli altri che abbiamo esaminati. Eleganza di disegno, bellezza di composizione, squisita finezza di esecuzione si riuniscono in un prototipo di perfezione a formar di questo quadro nel suo stile grandioso uno dei più classici gioielli dell’arte Romana. E mentre il mio occhio non è mai soddisfatto di averlo a sufficienza ammirato, e non osa staccarsene, io penso alle vuote accademie, che a volta dispensano allori immeritati, a volta sono avare di entusiasmo dinanzi ai veri capolavori dell’arte antica.

Non volendo, l’esame di questo quadro mi riporta alle considerazioni che feci di sopra. Come dissi, non è vero che i romani non abbiano avuto il gusto e il sentimento dell’arte, e che sieno stati affatto pedissequi dei greci1, imperciocchè lo aver questi chiamati in Roma a lavorare, ma obbligandoli ad una maniera affatto sconosciuta alla Grecia, attesta soltanto che se l’opera dello scalpello fu greca il sentimento però fu romano. Io non

  1. Pag. 43 e 70.