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immensi, senza pareti, aperti da tutte le parti, nei quali egli stesso occupa il suo piccolo posto, vuol dire ch’egli non riflette più alla sua attività rappresentatrice la quale si distende fino agli estremi confini del mondo, ma si rannicchia a dir così in se stesso, considera se stesso come un oggetto, delimitato dai limiti del proprio corpo, e allora niente di più naturale ch’egli veda al di fuori di sè, cioè a dire fuori di questo suo corpo, degli altri corpi estesi e reali come il suo, e che tutti insieme costituiscono il mondo degli oggetti. Ma intanto, se egli continua a riflettere, deve considerare ancora che noi indipendentemente dalla conoscenza che abbiamo di questo o di quell’oggetto particolare, siamo in grado di determinare con intera certezza le leggi e le relazioni dello spazio e del tempo, e sappiamo anticipatamente che tutti gli oggetti che furono o che saranno obbediscono a quelle leggi e sottostanno a quelle relazioni. Cosicchè accade questo: che degli esseri limitati e accantonati nella loro piccola porzione di spazio e di tempo si trovano in possesso di una scienza universale fondata unicamente sulle relazioni dello spazio e del tempo (le scienze matematiche), di una scienza che già Galileo diceva non diversa da quella divina per la sua certezza, di una scienza evidente, nella quale tutte le coscienze consentono e ch’è valida per tutti gli oggetti dell’esperienza. Com’è possibile questo fatto? Chi ha il gusto delle speculazioni metafisiche