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levatosi poco stante dal sedere, sprolungava grandi passi nella camera, e mormorava poco intelligibili parole: sembrava agitato.
Eravi nel mezzo di una parete della camera un vasto specchio di antica forma con cornice dorata ed intagliata ad arabeschi.
Blackman si fermò innanzi allo specchio, e stette a contemplarsi; gittato avea lungi da sè il sigaro ed incrociate le braccia:
«Orrore! Orrore! Orrore!.. sclamò indi a poco: deforme, deforme come Glocester, come Quasimodo, come Triboulet! Non ho mai come ora sentita tanto amaramente la mia sventura! Gobbo! guercio! labbruto! Maledetto il momento in cui mia madre mi concepì! Eppure, nell’odiare gli uomini io trovava un conforto alla mia disgrazia! E quanto più questo sentimento d’odio in me cresceva, tanto più sentiva scemarsi la mia deformità!»
E Blackman ripetea involontariamente e per assuefazione le parole di Riccardo III nel Shakespeare, suo autore favorito:
But I, that am not shaped for sportive tricks,
Cheated of feature by dissembling nature,
Deform’ d, unfinish’ d, sent before my time
Into this breathing world; scarce half made up
And that so lamely and unfashionably
That dogs bark at me, as I hall by them,
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
And therefore, since I cannot prove a lover,