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indutti (1); e questa mia fatica tanto meno grave parea quanto io trovava le proporzioni dell’opere corrispondere alle autorità e scritture di Vitruvio, e perchè io conosco che non solo dobbiamo render grazie a quelli che nelle arti a noi hanno lasciato la verità elucidata, ma a quelli ancora che ci hanno mosso le quistioni di alcuni secreti, perchè per loro mezzo siamo alla vera notizia pervenuti, come dice Aristotile nella Metafisica sua (2), e non meno biasimare quelli che con le vigilie e fatiche d’altri acquistar fama desiderano, non volendo cadere in questo vizio d’ingratitudine, nè ancora ornarmi di vestimenti alieni, come molti che le opere d’altri hanno usurpato, e vendicatosi il nome del quale il vero compositore solamente era degno; per questo non sia alcuno che si persuada tutto quello che in questa mia operetta si contiene, voglia reputato sia di mia invenzione: perchè molte conclusioni ho di più libri e massime di Vitruvio estratte et excerte nelle regole delle proporzioni di colonne, basi, capitelli e cornici, e così alcuni esempi e regole del primo, secondo e del quarto libro sono delle fatiche degli antichi, non con poca sollecitudine da me a luce ridotte. Ma le varie forme delle cose che nei detti libri si contengono, insieme con gli altri, sono del mio debile ingegno invenzioni, ove se alcuna cosa sarà che ai lettori non piacesse, imputato sia alle mie brevi forze, e se in alcuna parte rendessero utile o dilettazione, quello solo sia ringraziato il quale e fonte d’ogni bene, e da cui tutte le grazie sono, e da me solo questa disposizione di volontà sia accettata, per la quale molte cose utili e dilettabili saranno a ciascuno manifeste che per molte età sono state occulte. Benchè a me non sia ignoto alcuni moderni in quest’arte avere comentato e scritto (3), perocchè infine negli utili e difficili passi leggermente quelli

  1. Cioè da Federigo II duca d’Urbino, e questa sua lode è tacciuta sì dai numerosi suoi biografi, che dal Poleni nelle sue elaborate esercitazioni vitruviane. Più capace senza paragone di quant’altri fossero in corte di Federigo ne era L. B. Alberti, che esso pure vi fu, ed è probabile lo richiedesse il Duca di tal fatica: ma non ne sono prove.
  2. Libro III. È noto quanto siano tra se varianti gl’infiniti volgarizzamenti latini fatti ne’ tempi bassi dai testi arabi o greci di Aristotile. Io non so qual traduzione avesse a mano l’autor nostro, so bensì che meglio d’una volta, precetti e pareri ch’ei va citando di Aristotile, i0 nelle edizioni non li ho trovati: epperciò mi tolsi dall’appuntarli.
  3. Vedasi la nota 1.a al prologo del lib. VII.