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[§ 226-227] conc. gen. dell’equil. econ. 235

vamente, che era necessario tenerne conto. Così il Marx, nella sua teoria del valore, procura di eliminare con medie od altrimenti le condizioni che ha dovuto trascurare per fare dipendere il valore dal solo lavoro1. Così presso molti economisti il termine valore di cambio non significa solamente un rapporto, la ragione di cambio di due merci, ma vi si aggiunge, in modo non ben preciso, certe nozioni di potere di compra, di equivalenza di merci, di ostacoli da superare, e ne viene fuori una certa entità non bene definita, e che, appunto per ciò, può in sè accogliere concetti di condizioni trascurate di cui si sente che si deve tenere conto.

Il significato del termine valore è stato oramai tanto stiracchiato che è meglio lasciarlo da parte e sostituirvene altri, nello studio dell’economia politica2. Ciò già fece lo Jevons coll’usare il termine di ragione di cambio; e meglio ancora può farsi usando, come il Walras, il concetto del prezzo di una merce B in una merce A (§ 153).

227. La cosa indicata coi nomi di valore di cambio, ragione di cambio, prezzo, non ha una cagione; ed è oramai venuto tempo in cui qualsiasi economista il quale cerca la cagione del valore, manifesta con ciò solo di non avere inteso il fenomeno sintetico dell’equilibrio economico.

Pel passato era generale il concetto che dovesse esistere una cagione del valore, e si contendeva solo per sapere quale fosse tale cagione.

È notevole che la potenza dell’opinione secondo la quale doveva esistere una cagione del valore era tanto grande che non potè sottrarvisi intera-

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  1. Systèmes, II, cap. XIII.
  2. Systèmes, I, p. 338 e seg.; II, p. 121 e seg.