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libro sesto 235

sostanza, e accoppiandosi con l’altro, del quale la Rettorica alquanto Gotica, di cui fece Cassiodorio assai pompa, e che spesso oscura il significato, non ci lascia ben affatto comprendere tutto ciò eli ci ne dice: ma il nome d’Acinatico, che viene a dir granellato, sembra farci intendere che si spremesse il mosto dalle sole spicciolate granella, separati i graspi: a questo vino penso però alludesse Catullo, ove disse ebriosa acina (Epigr. 25). Ma forse ebbe altro nome nelle più antiche età, poichè Plinio nol mette, e con nome d’Acinaticum, o d’Acinaceum par che altra cosa intenda Ulpiano in una legge (D. de trit. et vi. l. 9). Il servar l’uva scelta fino a decembre, lo spremerla poi delicatamente nel gran freddo, e il riporre il mosto senza metterlo a bollire, conservandolo assai tempo, prima di porvi mano e di berlo, fanno conoscere che questo vino, benchè rosso e non bianco, in sostanza fosse pur quello che con l’istesso applauso facciamo ancora, onorandolo del nome di Santo. Si fa anche nel Bresciano di qua dal Chiesio, e dovea farsi anche in quel tempo; ma con tutto ciò solamente a’ Decurioni Veronesi se ne fa richiesta, perchè quel tratto era allora del Veronese. Il dirsi da Cassiodorio, ch’era denso e carnoso e solido al tatto, e non sol bevanda, ma cibo, vuol attribuirsi all’enfasi sua, come quando dice del bianco, ch’era di color di latte. Simili in tutto son per altro fino in oggi le nostre volgari espressioni, quando udiam dire che un vino ha corpo, e che in esso si bee e si mangia.