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ingegno, che vedea abbattute intorno a sè tutte quante le barriere di scuola, di accademia, di convenzione, e dato alla fantasia il dominio del mondo, potè abbracciare in una stupenda esaltazione d’amore la vocazion sua più eccelsa di banditore del vero e rivelatore del buono e del bello, di educatore della società e consolator della vita. Il Goethe sanciva implicitamente questa letteraria e storica verità, quando sentenziò: il romanticismo essere un genere morboso fuori che nel Manzoni. La sentenza, nondimeno, esclude troppo; e basterebbero due nomi a confutarla: il Porta e il Grossi.

Il Prati, ricca e magnifica palma signoreggiante sulla flora estiva e autunnale del romanticismo italiano, aduna in sè con una sincerità ch’io non saprei fra i poeti dove trovar la più schietta, e con tale pienezza di energia e tal calore intimo, che poche volte nella storia letteraria ha riscontro, tutte le qualità di natura volute perchè l’arte romantica avesse a dar frutto sano e vitale.

Quale la stagion sua e il suolo lo doveano produrre, tale egli fu; e con la sopraffacente padronanza della sua indole, della sua tempra indomita di natura, egli tenne il campo a lui sortito, e inviolabilmente rimase fedele a sè stesso, alle sue virtù e a’ suoi difetti, per quanto cangiare di gusti e rovesciar d’idoli e tempestar di critica s’andasse facendo intorno a lui.

Chi rimproverò al Prati la troppa mestizia, non pensò che egli, nato poeta romantico, non potea essere il cantor della gioia. La gioia è dell’arte pagana classica e della cortigiana; nell’età di Pericle e nel cinquecento è la gioia dei marmi, de’ colori, delle rime; ma le catacombe e il medioevo non conoscono il riso ellenico; e nè Dante, nè i