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58 | Luigi di San Giusto |
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I ricordi delle gioie trascorse le fanno apparire più amaro il dolore presente.
Oimè, le notti mie colme di gioia, |
Quando il soverchio ardore la stringe, ella si sente tentata di usare contro se stessa la propria mano, per finire tanti lamenti con un unico dolore. E quando sarà morta, la compiangano almeno le donne, che conobbero la sua dolorosa passione:
E, poichè io sarò cenere e favilla, |
Infine la misera donna, stanca di pregare invano, si rivolge a Vinciguerra, fratello del conte di Collalto, che le si era mostrato sempre affettuoso e benigno. Oh, che egli le ottenga solo una parola del duro suo amante! Ed ecco il sonetto così commovente nella sua semplicità: