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Gaspara Stampa. 49

avrebbe avuto maggior fortuna che col suo incostante signore. Amare un altro che lui ella non può più; ma questo ora l’affanna. Prossima ai trent’anni, l’età in cui le altre, le amiche sue, erano spose e madri, forse le sorgeva nel cuore il pensiero angoscioso che ella aveva mal collocato l’amor suo, che si era creata una vita di dolore, e aveva negata a se stessa la felicità vera, per sempre.

. . . . . . . . . . Egli mi fugge,
io seguo lui; altri per me si strugge,
io non posso mirare altra bellezza.

Odio chi m’ama, ed amo chi mi sprezza;
e verso chi m’è umíle il mio cor rugge.
Io sono umíl con chi mia speme adugge;
a così strano cibo ho l’alma avvezza!

Egli ognor dà cagione a nuovo sdegno,
essi mi cercan dar conforto e pace;
io lascio questi, ed a quell’un m’attegno.

Forse anche ingenua astuzia femminile, per eccitare la gelosia dell’innamorato? Poichè ella lo sa geloso, per puntiglio, per orgoglio, se non per amore. Ma le settimane e i mesi passano in queste alternative di gioia e di sconforto, facendosi però le gioie sempre più rare; e la povera Anassilla già sente i prodromi del male che doveva, pochi anni dopo, portarla alla tomba. Ella non può fare a meno di lagnarsene con lui, che la faceva tanto soffrire.