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10 | Luigi di San Giusto |
libera, che noi nel ventesimo secolo sognamo; pure vi è in essa una forza, una capacità così schietta e sana, una esuberanza di vita e un ardore di godimento e di dominio, che ci riempiono di ammirazione e di stupore.
Peccato che la storia e la poesia ci abbiano tramandato quasi solo i nomi delle illustri dame e cortigiane! Ma come doveva essere pur larga, serena e conscia di se stessa quella borghesia così ricca, rotta ai commerci e alla politica, e non ancora guasta dai gesuiti e dai principi! Mancavano, è vero, le scuole popolari, vanto dell’età nostra; nè sappiamo quale e quanta fosse l’istruzione, solita a impartirsi alla donna delle classi medie (la plebe fu per lungo tempo tenuta lontana da un campo troppo pericoloso e costoso!); pure, essa non fu esclusa dai benefizi della coltura. Olimpia Morato, colei che fu chiamata pomposamente, come l’antica Saffo, la decima Musa, era una modesta popolana, e anzi di così disagiata fortuna, che ella fu spesso, nella sua prima giovinezza, costretta a alternare la lettura di un canto di Virgilio con la cura della pentola casalinga. È vero che la Morato visse alla corte di Ferrara, e gran parte del suo lustro le venne dalla brillante compagnia, con la quale passò i suoi anni più belli; tuttavia la considerazione in cui fu tenuta, gli onori di cui venne colmata questa poetessa borghese, attestano quanto profonda fosse nel Cinquecento la convinzione dell’uguaglianza della capacità in-