20 |
ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
|
oppinione di quelli tali che assai l’apprezzano e stimano. Né si può chiamare vero o proprio bene quello che dipende da altri che da se medesimo; perché quelli tali, che l’hanno in prezzo, potrebbono facilmente sprezzarla e mutare oppinione, e quelle condizioni mutarsi, per le quali, mancando la cagione, facilmente mancherebbe ancora la dignitá e laude di quella. Questa tale dignitá d’essere prezzata per successo prospero della fortuna è molto appropriata alla lingua latina, perché la propagazione dell’imperio romano non l’ha fatta solamente comune per tutto il mondo, ma quasi necessaria. E per questo concluderemo che queste laudi esterne, e che dipendono dall’oppinione degli altri o dalla fortuna, non sieno laudi proprie. E però, volendo provare la dignitá della lingua nostra, solamente dobbiamo insistere nelle prime condizioni: se la lingua nostra facilmente esprime qualunque concetto della nostra mente; e a questo nessuna miglior ragione si può introdurre che l’esperienza. Dante, il Petrarca e il Boccaccio, nostri poeti fiorentini, hanno nelli gravi e dolcissimi versi ed orazioni loro monstro assai chiaramente con molta facilitá potersi in questa lingua esprimere ogni senso. Perché chi legge la Commedia di Dante vi troverrá molte cose teologiche e naturali essere con gran destrezza e facilitá espresse; troverrá ancora molto attamente nello scrivere suo quelle tre generazioni di stili che sono dagli oratori laudate, cioè umile, mediocre ed alto; ed in effetto, in uno solo, Dante ha assai perfettamente assoluto quello che in diversi autori, cosí greci come latini, si truova. Chi negherá nel Petrarca trovarsi uno stile grave, lepido e dolce, e queste cose amorose con tanta gravitá e venustá trattate, quanta sanza dubbio non si truova in Ovidio, Tibullo, Catullo e Properzio o alcun altro latino? Le canzone e sonetti di Dante sono di tanta gravitá, sottilitá ed ornato, che quasi non hanno comparazione in prosa e orazione soluta. Chi ha letto il Boccaccio, uomo dottissimo e facundissimo, facilmente giudicherá singulare e sola al mondo non solamente la invenzione, ma la copia ed eloquenzia sua. E, considerando l’opera sua del Decameron, per la diversitá della materia ora grave, ora mediocre ed ora bassa, e contenente