17. ’N un dormitorio grande, ma diverso1,
Ove ciascuna in proprio ha la sua cella,
Che sta, com’io dirò, per questo verso,
Se non erra Turpin che ne favella,
Una stanga a mezz’aria evvi a traverso,
Dov’ella tien le calze e la gonnella,
Il penzol2 delle sorbe e del trebbiano3,
E quel che più le par di mano in mano. 18. Più giù da banda un tavolin si vede
Che su i trespoli fa la ninna nanna,
E fa spalliera al muro, ove si vede
Una stoia di giunchi e sottil canna.
Evvi una madia zoppa da un piede,
E il filatoio colla sua ciscranna4;
Non v’è letti, se non un per migliaio
Chè tutte quante dormono al pagliaio. 19. Paride guarda e par che gliene goda;
Chè la gente alla buona e positiva
Sempre gli piacque, e la commenda e loda.
In questo mentre a un’altra porta arriva,
E nel sentir un certo odor di broda
Che tutto lo conforta e lo ravviva,
Entra di punta, perchè s’indovina
Che quella sia senz’altro la cucina.
↑St. 17. Diverso. Strano. (Nota transclusa da pagina 357)
↑Penzolo. Qui, Mazzo pendente. (Nota transclusa da pagina 357)
↑Trebbiano. Qui intende l’uva così detta. (Nota transclusa da pagina 357)
↑St. 18. Ciscranna. Specie di seggiola. (Nota transclusa da pagina 358)