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boni e cocci, un bellissimo scalpello d’osso, un’ascia-scalpello di pietra verde (il primo rappresentato nella tav. II, fig. 1) ed un cristallo di quarzo jalino.
Nel 1883, il D.' Wall, medico presso l’esercito inglese delle Indie, tentò nuovi scavi verso l'estremità orientale della camera maggiore della grotta, in un tratto in cui il terriccio della stessa è misto di pietre e coperto di massi. Ivi i miei saggi erano sortiti infruttuosi e così avvenne da principio di quelli di Wall; ma, avendo egli continuato gli scavi fino a maggiore profondità, fu così condotto alla scoperta di un orifizio, per cui penetrò in un'altra camera ancora vergine, nella quale ottenne largo compenso alle sue fatiche, col ritrovamento di numerosi manufatti primitivi ed avanzi di pasto, che giacevano a vari livelli, entro straterelli di terra e cenere. Nello schizzo planimetrico presentato alla pagina 370, schizzo desunto dalla memoria dell’Ing. Bensa già citata, appariscono le dimensioni approssimative di questa camera, quali risultano al presente dopo gli scavi da cui fu sconvolta. In alcuni punti la sua altezza supera di poco quella di un uomo di media statura, in altri la volta è tanto bassa che obbliga il visitatore a proceder curvo. Dalle aperture che mettono all’antigrotta o cavità esterna fino al fondo della nuova propaggine, il suolo va discendendo rapidamente, ciò sopratutto nel primo tratto.
Chi entra nella parte della spelonca rinvenuta da Wall, osserva a tutta prima verso levante, una sorta di fenditura quasi verticale, appena praticabile (nel linguaggio minerario si direbbe un caminetto), la quale alla sua parte superiore mette all’esterno, e lateralmente comunica, mercè uno stretto cunicolo, con parecchie camere più alte, che penetrano profondamente nelle viscere del monte. Tali camere, ben più delle altre già ricordate, sono rivestite in generale di belle concrezioni stalattitiche.