non è a meravigliarsi se Colombo traviò dietro idee poeticamente singolari, e se dopo avere con sì lucida insistenza dimostrata la sfericità della terra, dopo avere annunciata una nuova êra alla civiltà cristiana, nei suoi ultimi anni, quando niuno più dubitava delle verità che egli stesso aveva tanto contribuito a dimostrare, quando già cominciavano i nuovi tempi da lui presentiti, egli compose il singolarissimo libro delle profezie, nel quale sostenne non essere la terra di forma precisamente sferica, ma allungarsi invece sotto la zona equatoriale fino a pigliar la forma di una pera, ed ivi su quel rialzo sorgere il paradiso terrestre: avvicinarsi già la fine dei tempi, e non restare alla storia più che un ultimo periodo di 165 anni. Chi cercasse i motivi di queste strane divagazioni, non li troverebbe certo affatto indegni di Colombo. Per tutto il medio evo arabi e cristiani avevano popolarmente creduto che i grandi fiumi, di cui s’ignorava l’origine, come il Nilo ed il Gange, avessero una arcana sorgente nel Paradiso Terrestre; e che di là per reconditi meati defluissero sulla terra. Edrisi, celebre geografo arabo, pigliando un dimezzo tra la tradizione e la scienza, ammise la rotondità della terra, non perfetta però e con qualche declivio per ispiegare il decorso delle grandi masse acquee. Dante, non so se per libertà di fantasia, o se per qualche preconcezione scientifica, aveva pur sovrapposto al globo terraqueo quella amplissima piramide australe, dove digradasi il purgatorio, e sulla cui vetta ride il paradiso terrestre. Nelle carte di Tolomeo rimaneggiate dallo spirito ecclesiastico, e che io studiai nell’edizione di Roma del 1492, ove trovansi nell’indice raccolte tutte le tradizioni e le leggende della geografia teologica, lessi presso Sarapa, ultimo luogo segnato sull’emisfero di Tolomeo, a 180 gradi di latitudine