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DISCORSO.
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di vedere ignoto anche a nostri dotti il suo Cicerone.
Quando la fama di Giacomo Leopardi sarà pari al valor suo, molti diverranno curiosi di conoscere con quale ordine e fortuna gli succedettero gli esercizi della mente. Sappiasi dunque ora ch'egli prima di trattare la poesia, e di poi la filosofia, fu (non tanto per elezione, quanto per caso o per necessità) occupato da molta e recondita erudizione. La quale comunque soprabondasse, non potè rimanere massa fredda ed inerte ad opprimere quella facoltà che nelle speculazioni si assottiglia, nè quella che negli affetti si accende: perchè tanta copia di sapere infusa nell'animo il più ardente che si possa imaginare, in quello per così dire bollendo e affinando, sublimossi a materia di alto poetare, e di filosofare profondo. Nè dai latini, e più dai greci, aveva tolto solamente le polite lettere, e le istorie, ma la sapienza morale e la civile; e sopra tutto quell'intelligente e caldo amore del buono e del bello, nel quale tanto ci avanzano. Onde prima che avesse compiuto venti anni mandò fuori quelle due canzoni; delle quali chi potrà dire che per altezza di sentimenti e veemenza di generoso ardore abbiamo altrove paragone? chi dalla ignavia Italiana trasvolare alle Termopile e a Simonide? Chi dal tardo monumento fiorentino a Dante trapassare al fiore della italica gioventù inutilmente ne' deserti di Russia gelato