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il parini - capitolo iii | 89 |
Virgilio con piena libertá di giudizio da una parte, e nessuna cura dell’autoritá degli altri, il che non è comune a molti; e dall’altra parte con imperizia consueta a quell’etá, ma forse non maggiore di quella che in moltissimi lettori è perpetua; ricusava fra me stesso di concorrere nella sentenza universale; non discoprendo in Virgilio molto maggiori virtú che nei poeti mediocri. Quasi anche mi maraviglio che la fama di Virgilio sia potuta prevalere a quella di Lucano. Vedi che la moltitudine dei lettori, non solo nei secoli di giudizio falso e corrotto, ma in quelli ancora di sane e ben temperate lettere, è molto piú dilettata dalle bellezze grosse e patenti, che dalle delicate e riposte; piú dall’ardire che dalla verecondia; spesso eziandio dall’apparente piú che dal sostanziale; e per l’ordinario piú dal mediocre che dall’ottimo. Leggendo le lettere di un principe, raro veramente d’ingegno, ma usato a riporre nei sali, nelle arguzie, nell’instabilitá, nell’acume quasi tutta l’eccellenza dello scrivere, io m’avveggo manifestissimamente che egli, nell’intimo de’ suoi pensieri, anteponeva l’Euriade all’Eneide; benché non si ardisse a profferire questa sentenza, per solo timore di non offendere le orecchie degli uomini. In fine, io stupisco che il giudizio di pochissimi, ancorché retto, abbia potuto vincere quello d’infiniti, e produrre nell’universale quella consuetudine di stima non meno cieca che giusta. Il che non interviene sempre, ma io reputo che la fama degli scrittori ottimi soglia essere effetto del caso piú che dei meriti loro: come forse ti sará confermato da quello che io sono per dire nel progresso del ragionamento. —
capitolo terzo.
— Si è veduto giá quanto pochi avranno facoltá di ammirarti quando sarai giunto a quell’eccellenza che ti proponi. Ora avverti che piú d’un impedimento si può frapporre anco a questi pochi, che non facciano degno concetto del tuo valore, benché ne veggano i segni. Non è dubbio alcuno che gli scritti