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l’armonia di composizione a cui Egli tende, sono continui gli schizzi e gli studi, poi, raggiunto il fine a cui mirava, non la traduce sulla tela, o se lo fa, lo fa con grande impazienza. Dinanzi all’«Adorazione dei Magi» incompiuta, o al cartone della «Sant’Anna», o al disegno della «Madonna coi fusi», che non dipinse mai, Egli probabilmente pensava (come l’Alberti del dirigere le fabbriche), che «l’ordinare è opra signorile, l’oprare è atto servile», e affidava ai discepoli, perchè le eseguissero sotto la sua direzione, le tele di cui veniva continuamente richiesto, come la «Madonna» di casa Litta, la «Santa Famiglia» nel Museo dell’Eremitaggio, la «Vergine della Bilancia» nel Louvre, ecc.
Notiamo inoltre, quasi per concludere queste osservazioni opposte all’accusa d’impotenza e d’incostanza, che Leonardo mirò sopratutto nella vita a soddisfare se stesso, gustando i mirabili piaceri della contemplazione delle cose e della meditazione; Egli è un nobile epicureo dell’intelletto che vuole godere la vita dello spirito con piena libertà, non un ambizioso ostinato e incostante a seconda che gli suggerisce l’eccessivo desiderio d’onori e di fama.
In uno studio di questa natura credo che ci si possa giovare solo con grandissima cautela delle sentenze, delle favole, delle profezie, dei motti leonardeschi che furono da Lui pensati, o trascritti da autori precedenti, per servire — almeno in gran parte — a eleganti conversazioni, a pitture allegoriche, a imprese cavalleresche, ma, per quanto si debba andare coi piedi di piombo prima di ricavarne conclusioni intorno all’indole, ai sentimenti intimi dell’artista,