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208 | S E C O N D A |
SONETTO CCXLVI.
M’abbi lasciato, i’ pur mi riconforto,
Perchè del corpo ov’eri preso et morto,
4Alteramente se’ levato a volo.
Or vedi inseme l’un et l’altro polo,
Le stelle vaghe et lor vïaggio torto,
Et vedi il veder nostro quanto è corto,
8Onde col tuo gioir tempro ’l mio duolo.
Ma ben ti prego che ’n la terza spera
Guitton saluti, et messer Cino, et Dante,
11Franceschin nostro, et tutta quella schiera.
A la mia donna puoi ben dire in quante
Lagrime io vivo; et son fatt’una fera,
14Membrando il suo bel viso et l’opre sante.
SONETTO CCXLVII.
D’aspri colli mirando il dolce piano
Ove nacque colei ch’avendo in mano
4Meo cor in sul fiorire e ’n sul far frutto,
È gita al cielo, ed àmmi a tal condutto,
Col sùbito partir, che, di lontano
Gli occhi miei stanchi lei cercando invano,
8Presso di sè non lassan loco asciutto.
Non è sterpo nè sasso in questi monti,
Non ramo o fronda verde in queste piagge,
11Non fiore in queste valli o foglia d’erba,
Stilla d’acqua non vèn di queste fonti,
Nè fiere àn questi boschi sì selvagge,
14Che non sappian quanto è mia pena acerba.