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— III — |
insieme, finchè l’una trionfa sull’altro. Nox è un lamento disperato di scettico:
Tacito sopra i baratri marini,
Su’ baratri del cor tacito stendesi,
Stendesi dell’immensa ombra l’orror;
Danzan nell’ombra i fati adamantini,
E perpetuamente i flutti gemono,
Perpetuamente si querela il cor.
Ma poi, quasi pentendosi, nella Ballata, riafferra le grandi speranze:
Nulla! ma fin che a noi vincitrice Atalanta,
L'auree sue poma la beltà ne getti;
Finchè tra belve e nembi, una tua voce, o santa
Virtù, rinfranchi de’ cessanti i petti;
Fin che ruggendo pugni, giovin leone, il dritto,
Oscuro al volgo e dai monarchi irriso;
E tra le fiamme e il sangue del prometèo conflitto,
Vergine libertà, splenda un tuo riso;
Finchè tra’ naufragosi vortici del mistero
V’è una sfinge che tacita seduce,
Fra i granitici errori una gemma del vero,
Negli anfratti del core un fil di luce;
Finchè l’amore in petto, al ver le ciglia fisse,
Bella è la morte e nobile il cimento,
O vita, eterna Circe, cui solo doma Ulisse,
Al tuo magico regno, ecco, io m’avvento.
Sempre così, questo poeta fortemente acceso d’un ideale che gli sta dinanzi! Sembra dimenticarlo un istante, e in quella eclissi si dibatte ansioso e tetro; ma in poco d’ora la natura gli rifolgora sugli occhi, ed ei si riesalta nell’ebbrezza dell’infinito. E’ la santa Venere che gli distilla in petto il suo dolce, e lo imparadisa nei sogni:
Ed ei, sereno impenitente, agogna
Le tue fulgide rive,
Ardua beltà.