Le poesie religiose (1895)/Ballata

Ballata

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Ebe Mors et Vita
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BALLATA






I.


Siede su la recente fossa paterna il fosco
          Giovine. Alla città bianca de’ morti
Il roseo maggio esulta; nell’imminente bosco
          4Cantan gli augelli in vaghi amori assorti.

Ei pensa e geme: “O caro petto, per te la vita
          Fu una mistica prova, un sogno austero:
Come palma in deserto, s’aprì nell’infinita
          8Regíon della fede il tuo pensiero.

S’avventâro a’ tuoi fianchi i morbi e le sciagure,
          Come tumultuosa orda di schiavi;
Ma tu, mite, qual sandalo odoroso alla scure.
          12Benedicendo l’anima esalavi.

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Ahimè, la terra inerte gittâr su la tua fronte;
          Ahimè, il tuo cor nell’ombra alta s’immerse!
Eterno or vivi? Il cielo, il vero è tuo? La fonte
          16Dell’eterna giustizia alfin si aperse?„

Commossa alle dolenti voci la terra parve,
          E si dischiuse. Dalla nera fossa
In bianche tele avvolto uno scheletro apparve,
          20Onde il giovin tremò fin dentro all’ossa.

Su su da la sdrucita bara s’eresse a pena;
          Mirò stupito il caro volto, e sulla
Polve, piegata in arco la scricchiolante schiena,
          24Segnò col dito una parola: Nulla.


II.


“Nulla! Ma tra la festa dell’orgogliose aiuole
          Canta un inno all’amore il roseo maggio;
Ma la vita tripudia sotto i baci del sole,
          4Ma dell’anima tua vive in me il raggio.

O vita, enigma strano a chi tue leggi abusa;
          O amor, veleno a chi tue leggi offende:
Stolto chi voi, divini, de’ proprj falli accusa,
          8E ignorare o saper tutto pretende!

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Nulla! Ma fin che a noi, vincitrice Atalanta,
          L’auree sue poma la beltà ne getti;
Finchè tra belve e nembi, una tua voce, o santa
          12Virtù, rinfranchi de’ cessanti i petti;

Finchè ruggendo pugni, giovin leone, il dritto.
          Oscuro al volgo e dai monarchi irriso,
E tra le fiamme e il sangue del prometèo conflitto,
          16Vergine libertà, splenda un tuo riso;

Finchè tra’ naufragosi vortici del mistero
          V’è una sfinge che tacita seduce,
Fra’ granitici errori una gemma del vero,
          20Negli anfratti del core un fil di luce;

Finchè, l’amore in petto, al ver le ciglia fisse.
          Bella è la morte e nobile il cimento,
O vita, eterna Circe, cui solo doma Ulisse,
          24Al tuo magico regno, ecco, io mi avvento!„