Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/692

684 esercitazioni filosofiche


zioni in essi non si conoscono, perchè, oltre il moto loro proprio, sono portati con egual velocità dall’aria; nel modo che son portate tutte le cose ugualmente che sono entro una nave, facciano pur esse, dentro, qual moto particolare e proprio le piace. Segno di questo dite esser il tiro de gli imberciatori, conciosia che costoro, mentre prendono di mira con l’archibugio gli ucellì volanti, non prendono il punto o la mira distante da gli ucelli per aggiustarsi al volo di essi, ma che tirano a questi come se tirassero a quei che stanno fermi, seguitandoli con l’archibugio e mantenendogli sempre la mira adosso, il che avviene che nel moto commune participano uniformemente a capello tanto gli ucelli quanto gli imberciatovi, il che non potrebbe essere se non avessero il moto eguale nell’aria con quello della Terra; onde il moto della palla, dell’ucello e dell’ucellatore, quanto al giro universale, è indifferente ed uno solopostille 1. «E di qui (dite) dipende la propria risposta all’altro argomento del tirar coll’artiglieria al berzaglio posto verso mezo giorno o verso settentrione; dove s’instava che quando la Terra si movesse, riuscirebbono tutti costieri verso occidente, etc.» Or qui io vi faccio le medesime instanze che ho fatte di sopra, e conseguenti a quelle ve ne aggiungo dell’altre. Vi dico dunque che, secondo questa posizione vostra, è assolutamente necessario che e gli ucelli predetti e le nuvole e le palle d’artiglieria (oltra il lor moto proprio col quale volano, sono portate da i venti o dalla lor levità, o sono tirate dalle bombarde) abbino il moto commune ed equabilissimo a quel della Terra, sì che al pari di essa nell’istesso giro siano raggirati: e ciò non può esser dalla Terra medesima, per esserne lontani; dunque dall’aria, che ha il moto istesso della Terra, e così appunto dite voi in più luoghi con varie frasi. Or udite. Prima vi torno ad addurvi l’impossibile che a questo proposito vi ho addutto altre volte, cioè che l’aria possi portar quei pesanti mobili, nè per natura, nè per violenza, nè per sua celerità o vertigine. Poi vi aggiungo l’esperienza in contrario certissima, quella (dico) che voi apportate in favor vostro, de gli imberciatori: già che essi dicono che per coglier di mira l’ucello volante, è necessario che col dritto dell’archibugio s’avantaggino, sì che se vogliono ferir verso il fin dell’ale, si tengono alla testa, se alla testa alquanto avanti, altrimenti la palla tirata resta indietro; del che diligentemente ho domandato a molti, e tutti concordemente ciò dicono, oltre al spazio o giro che fanno le palline, che pur importa: talchè non è vero che noi siamo di ugual moto portati con essi. Di più, non rammentandovi di quanto avete detto, a car. 233 [pag. 264, lin. 7-9] dite queste parole: «Oltre che, come ho detto, non è l’aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguono il suo moto»; e qui (oltre l’indurvi in

  1. Capo durissimo, inetto a intender nulla, d’onde cavi tu che io abbia detto mai che per il moto comune dell’aria e della Terra gPimberciatori colgano gli uccelli volanti?