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è perciò che il Maggior Consiglio1 nel 27 dicembre 1375 votava una legge, colla quale, osservandosi che vi era molta confusione nelle commissioni dei Rettori, nei capitolari degli ufficiali e nei registri che conservavano le parti adottate nei Consigli, si nominavano cinque savi coll’incarico di esaminare questi libri e con facoltà di cancellare quelle disposizioni, il cui termine fosse spirato o che mancassero di efficacia e di valore, e di proporre quelle aggiunte e modificazioni che reputassero convenienti ed utili, ordinando che il partito proposto ed approvato dal Senato, avesse la stessa forza come se fosse emanato dal Maggior Consiglio. I cinque savi, valendosi di detta facoltà, nel 25 settembre 1376 annullarono il vecchio capitolare, che contava quasi un secolo di vita, ed ordinarono la compilazione di un nuovo, facendone annotazione e firmandosi assieme al notajo della curia Giovanni Vido2.

Tolto così l’ultimo vincolo che aveva, relativamente all’intrinseco del grosso, una importanza legale e tradizionale, si pensò di riprenderne il conio, modificando il peso in proporzione a quello che si era trovato conveniente di fare per il soldo con nuova, sebbene piccola diminuzione. Un decreto del Senato, in data 4 maggio 13793, ordina che la moneta coniata in zecca coll’argento dei quinti deposti dai mercanti, debba andare a 15 soldi di grossi per marca, invece che a 14 e 6 grossi, e che una metà debba coniarsi in soldini e l’altra metà in grossi somiglianti agli antichi. Tali grossi devono avere il valore di quattro soldini e la stessa bontà: sì gli uni che gli altri devono essere contraddistinti con una stella, che infatti è visibile in tutti i pezzi coniati dopo il 1379. Anche in questo decreto, come in quelli 8 aprile 1353 e 19 dicembre 1369, che ho a suo tempo riportati, il modo di calcolare la lira di grossi è sempre di 32 piccoli per grosso: con ciò, dopo che il grosso era stato valutato quattro soldi, si creava un grosso immaginario assai inferiore al

  1. Documento XV.
  2. Documento IV.
  3. Documento XVI.