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dove è scritto che omnis libra ad grossos valet grossos 9 par. 51. Io non poteva persuadermi che esistessero lire di 239 e non 240 denari, perchè moltiplicando i 9 grossi per 26 si ha 234, che uniti ai 5 fanno 239 piccoli per ogni lira; e rispettivamente 20 soldi meno un grosso, fanno pure 239 grossi per ogni lira di grossi, ma dovetti convincermi che si trattava di una moneta ideale, la quale aveva avuto vita da prima, e che nel ragguaglio erasi formata una consuetudine, che non corrispondeva all’esatto valore primitivo, ma ad un prezzo approssimativo e convenzionale accettato da tutti.

Prima di abbandonare il doge Giovanni Dandolo, è necessario ricordare alcune leggi relative all’ordinamento della Zecca che furono votate dal Maggior Consiglio durante il suo principato. La prima è del 27 settembre 12832, nella quale si ordina ai massari di fabbricare e coniare la moneta grossa e la piccola, secondo gli ordini del doge, assistito dal suo consiglio. Questo decreto è in armonia cogli articoli 14 e 78 del vecchio Capitolare dei massari della moneta e colle consuetudini, giacché in questo primo periodo della zecca veneta, il Maggior Consiglio si occupava della parte più importante legislativa, fissando il valore, il peso della monete, mentre il doge e la signoria avevano l’ingerenza diretta e l’amministrazione che esercitavano col mezzo dei massari, cui spettava la sorveglianza e l’esecuzione degli ordini ricevuti. Un’altra parte è del 14 dicembre 12883, colla quale, il supremo consiglio delega i suoi poteri sulla zecca e sulla moneta al doge, ai consiglieri e al consiglio dei 40, ordinando che le deliberazioni prese da questo consesso, avessero la stessa autorità che quelle emesse dal Maggior Consiglio.

I massari della moneta erano in origine tre, ma quando fu istituito il ducato, se ne aggiunsero due nuovi all’oro, come

  1. Novissimum statutorum ac Venetorum Legum. Venetiis typ. Pinelliana, 1729, in 4° carte 221.
  2. Documento IX
  3. Documento X