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RIME



XLIII


     Questa donna che andar mi fa pensoso
Porta nel viso la virtù d’amore,
La qual fa risvegliare altrui nel core
Lo spirito gentil che v’è nascoso.
     Ella m’ha fatto tanto pauroso,5
Poscia ch’io vidi il mio dolce signore
Negli occhi suoi con tutto il suo valore,
Ch’io le vo presso e riguardar non l’oso.
     E s’avvien poi che quei begli occhi miri,
Io veggio in quella parte la salute10
Ove lo mio intelletto non può gire.
     Allor si strugge sì la mia virtute,
Che l’anima che move gli sospiri
S’acconcia per voler del cor partire.

(Confrontato e corretto su l’edizion giuntina, ov’è attribuito a Dante, e su la lezione che ne dà il Fraticelli nel Canzoniere di Dante, ed. cit.)




XLIV


     Sta nel piacer della mia donna Amore
Come in sol raggio e ’n ciel lucida stella,
Che nel muover degli occhi poggia al core,
Sì ch’ogni spirto si smarrisce in quella:
     Soffrir non posson gli occhi lo splendore,5
Nè il cor può trovar loco, sì è bella;
Che ’l sbatte fuor, tal ch’ei sente dolore;
Quivi si trova chi di lei favella.
     Ridendo par che s’allegri ogni loco,
Per via passando; angelico diporto,10
Nobil negli atti ed umil nei sembianti;
     Tutt’amorosa di sollazzo e gioco,
E saggia di parlar; vita e conforto.
Gioia e diletto a chi le sta davanti.




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