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GIOSUE CARDUCCI |
scelta, con quella miglior critica ch’era da me, delle rime stampate; ad emendarne possibilmente la lezione con le varianti offertemi pur dalle stampe. E anch’io aspetto con desiderio il canzoniere di Cino curato dall’editore del Davanzati.
III
Appartenenti pel carattere e la la forma dei loro versi agli gnomici, che sono i poeti del secondo periodo di una civiltà, proseguono questi rimatori le tradizioni e lo stile della poesia che precede la scuola toscana del 1282.
Come Dante di sua mano egregiamente disegnava1, e disegnava, ricordandosi di Beatrice, un angelo sopra certe tavolette2; così Giotto coetaneo (1276-1336) ed amico suo non volgarmente rimava: bella fratellanza, oggi troppo rara, delle arti sorelle. La canzone che sola nota di lui riproducemmo è contro la povertà, pur figurata con tanta amabil vivezza dal pittore nella chiesa sotterranea del Santo d’Assisi in una donna «la quale va coi piedi scalzi calpestando le spine, ha un cane che le abbaia dietro e intorno un putto che le tira sassi e un altro che le va accostando con un bastone certe spine alle gambe».3 Ma la invettiva del poeta è reazione del genio borghese contro quella specie di socialismo cristiano predicato e messo in atto da san Francesco nel duecento, nel trecento dal beato Colombini.
Del Salimbeni e del Bonichi, come d’altri vecchi rimatori senesi, scrive senesemente Scipione Bargagli: «Non usarono gli scelti ornamenti poetici nelle rime loro, ma si furon tali che la toscana lengua bene intesono
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