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La Sicilia nella Divina Commedia 7


si connette l’altra più generica della pugna ingaggiata dai giganti nella valle di Flegra, scolpita così mirabilmente nel suolo della prima cornice del Purgatorio1, dove, fitto dal telo celestiale, vedesi anche il centimane Briareo (cfr. Inf. XXXI, 98), che, secondo i mitografi, sarebbe rimasto egli pure sepolto sotto l’Etna.

L’Etna è ancora per Dante la fucina negra di Vulcano, dove il fabbro assieme ai Ciclopi si affatica a preparare i fulmini a Giove (Inf. XIV, 52-57)2.

Le altre reminiscenze mitologiche della Divina commedia spettanti alla Sicilia, rientrano tutte nel mito del rapimento di Proserpina e in quello del ciclo Troiano.

Nella stessa plaga orientale dell’isola suole infatti la tradizione collocare la scena, nella quale la vergine siciliana perdette

«la madre lei, ed ella primavera» (Purg. XXVIII, 49-51),

quando Plutone la rapì3 e la fece regina dell’eterno pianto

    Quanto alla relazione di Tifeo e dei giganti coi fenomeni vulcanici vedasi il Tommaseo citato dal Poletto (Dizion. Dantesco, Siena, tip. S. Bernardino, 1885-87, alla voce Tifèo) ed A. Holm, Geschichte Siciliens in Alterthum, I Band, pag. 50.

  1. XII, 28-33; cfr. Inf. XIV, 58 e XXXI, 119-121 con Ovidio, Met. X, 150 sg. e Stazio, Teb. II, 597 sg.
  2. In questo passo l’Etna è chiamato con voce medioevale d’origine araba Mongibello (gebel, monte); per la favola vedi Virgilio, Georg. IV, 170 sgg., Ovidio, Met. I, 259 e Fast. IV, 473, e cfr. Dante, Conv. II, 5 ed Ecl. II, 75 sgg., dove se per Peloro, come osservò il Dionisi, s’intende Ravenna, e per l’Etna Bologna, per Polifemo s’intende Roberto re di Napoli, che in Bologna, come vicario del papa, esercitava autorità. Pei Ciclopi vedi anche Dante, Ecl. II, 27, 47, dove al v. 78 è menzionata la ninfa Galatea, la cui favola degli amori coi pastore Aci si riconnette pure coll’Etna e con Polifemo, e quindi con la spiaggia orientale della Sicilia, della quale son ricordati gli Ætnica saxa, che si vogliono riconoscere negli Scogli dei Ciclopi presso Aci Castello (Stazio, Sylv. V, 49r): «audacia saxa Pyramidum»), cfr. Achille Mazzoleni, La leggenda di Aci e Galatea (conferenza tenuta all’Accad. degli Zelanti di Acireale; vedine il sunto negli Atti e rendiconti dell’Accad., Acireale, Micale, 1893, pp. 228-233).
  3. Vedi Ovidio, Met. V. 391 sgg., 552 sgg. e Claudiano De raptu Pros. II, 72 sgg.; cfr. sull’argomento Parini, Il Mattino, v. 73 sgg. ed il bel sonetto del Cassiani «Diè un alto strido, gittò i fiori, e vòlta». Dante nella madre di Proserpina allude a Cerere, la dea delle biade (cfr, Conv. II, 5), la quale punì di fame insaziabile l’empia Erisitone (Purg., XXIII, 26; cfr. Ovidio, Met. VIII, 741 sgg.). Intorno alle medaglie rappresentanti Cerere e sul mito di Proserpina nella regio-