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72 CANTO


LXIII.


L’esercito reggian, fatto sicuro
     Che la forza adoprar gli valea poco,
     E veggendo il nemico in volto oscuro
     508Scuoter la porta, e domandar del foco;
     In fretta rimandò fuora del muro
     Il guardian ch’ebbe a fatica loco
     D’impetrar da Gherardo alcun partito,
     512Ch’era già inviperato e infellonito.

LXIV.


Alfin l’ultimo ottenne, e fu giurato,
     Con giunta, che chiunque all’ostería
     Con Modanese alcun fosse alloggiato,
     516Di quello stuol che di Rubiera uscía;
     A trargli per onor fosse obbligato
     Scarpe o stivali, o s’altro in piedi avía.
     Indi fu aperto un picciolo sportello
     520Donde uscivano i vinti in giubberello.

LXV.


Marte che la sembianza ancor tenea
     Di Scalandron, per onorar la festa:
     Stando alla picca ove al passar dovea
     C524hinar il vinto la superba testa,
     Dava a ciascun nel trapassar che fea
     Sotto quell’asta, un scappellotto a sesta.
     Così fino all’aurora ad uno ad uno
     528Andò passando il popolo digiuno.

LXVI.14


Poichè tutti passar, Marte disparve,
     Lasciand’ognun di maraviglia muto.
     Stupiva il vincitor, che le sue larve
     532Conoscer non avea prima saputo:
     Stupiva il vinto, poi che ’l sole apparve
     Cinto di luce, e che si fu avveduto
     Con onta sua, che le picchiate ladre
     536A tutti fatte aven le teste quadre.