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62 | CANTO |
XXIII.
Foresto che venir sopra si vede
Gli stendardi di Parma e di Rubiera,
Si lascia dietro anch’ei la gente a piede,
188E passa armato innanzi alla sua schiera.
Marte rimira, e Scalandrone il crede:
Sprona il cavallo, e abbassa la visiera;
E ’l coglie appunto al mezzo della pancia,
192Ma non sente piegar nè urtar la lancia.
XXIV.
Marte all’incontro al trapassar percosse
In guisa lui d’un colpo soprammano,
Che gli abbruciò la barba, e ’l viso cosse,
196E non parve mai più fedel cristiano.
Ei se la bebbe; e subito scontrosse
Con Bertoldo ch’avea disteso al piano
Col braghiero in due pezzi Anselmo Arlotto,
200Grande alchimista, e in medicina dotto.
XXV.
Ruppero l’aste a quell’incontro fiero,
E colle spade incominciar la guerra.
L’animoso Foresto avea un destriero
204Che non trovava paragone in terra,
Generoso di cor, pronto e leggiero;
E se un’antica cronica non erra,
Fu della razza di quel buon Frontino6
208Fatto immortal da monsignor Turpino.
XXVI.
Bertoldo avea più forza e più fierezza,
Ed era di statura assai maggiore:
Foresto avea più grazia e più destrezza;
212Picciolo il corpo, e grand’era ’l valore.
Ma l’uno e l’altro fa di sua prodezza
Mostra al nemico, e di suo eccelso core:
E la terra è già tinta e inorridita
216Di sangue e di bragiole e maglia trita.