Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
52 | CANTO |
LXVII.
Un giovinetto di superbo core,
Che di sua fresca etade in sul mattino
Non avea ancor segnato il primo fiore
532Del primo pel, nomato Valentino,
Avea dipinto addormentato Amore;
E Medola reggea, Montefiorino,
Mursiano e Rubbían, Massa e Rovello,
536Vedríola, e dell’Oche il gran castello.
LXVIII.
Di giavellotti armati e giannettoni,
Di panciere e di targhe eran costoro,
Con martingale13 e certi lor saioni,
540Che chiamavano i sassi a concistoro.
Sotto le scarpe avean tanti tacconi,
Che parea il campo d’Agramante moro,
Che in zoccoli marciasse a lume spento:
544E non erano più che cinquecento.
LXIX.
Poichè la fanteria della montagna
Fu veduta passar di schiera in schiera,
Il Potta fece anch’egli alla campagna
548Uscir la gente sua ch’armata s’era.
E già quella di Parma e d’Alemagna
E di Cremona, giunta era la sera
Dalla parte del Po per la fatica
552Che da Reggio temea, città nemica.
LXX.
In Garfagnana intanto avea intimato
Ai cinque capitan delle bandiere,
Che non uscisser pria di quello stato,
556Che vi giugnesse il re con le sue schiere:
Però ch’anch’ei da Lucca avea mandato
A fare in fretta alla città sapere
Ch’ei venia quindi; e domandava gente,
560Da potersi condur sicuramente.