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42 | CANTO |
XXVII.
Vieni meco alla guerra, e lascia andare
Cotesti amori tuoi da scioperato.
La fama non s’acquista a vagheggiare
212Un viso di bertuccia immascherato.
Claretto non istette a replicare,
Che gli venne desio d’esser soldato.
Prese una picca, e si scordò di bere:
216Ma ricordiamci noi dell’altre schiere.
XXVIII.
Cittanova spiegar, Fredo e Cognento
Piramo e Tisbe morti appiè del moro.
Esser potean costor da quattrocento,
220E ’l Furiero Manzol fu il duca loro,
Giovane d’alto e nobile talento,
A cui cedean l’agilità e ’l decoro
Nel ballar la nizzarda e la canaria,
224E nel tagliar le capríole in aria.
XXIX.
Quasi a un tempo arrivar da un altro lato
Villavara, Albereto e Navicelli.
Eran trecento, e conduceagli al prato
228Il fiero zoppo d’Ugolin Novelli.
Dipinto ha nell’insegna un ciel turbato
Che piove sovra un campo di baccelli.
Indi venian, tra lor correndo a gara,
232Quei del Corleto e quei di Bazzovara:
XXX.
Corleto emulator di Grevalcore,9
Ch’Augusto nominò dal cor giocondo
Quel dì che fu d’Antonio vincitore,
236Onde poscia con lui divise il mondo:
E Bazzovara or campo di sudore,
Che fu d’armi e d’amor campo fecondo;
Là dove il Labadin, persona accorta,
240Fe’ il beverone alla sua vacca morta.