Pagina:La secchia rapita.djvu/231

218 CANTO


LI.


Lemizio fu nomato, o Lemizzone,
     Piccolo e grosso, e di costumi antico.
     Avea nella man destra un rampicone,
     412E sopra la celata un pappafico;
     Nella manca una targa di cartone,
     Foderata di scotole di fico:
     Del resto, in giubberel colle gambiere,
     416Parea un saltamartin13 proprio a vedere.

LII.


Rise Sprangon vedendolo sul ponte,
     E motteggiollo e dileggiollo assai,
     Chiamandolo aguzzin di Rodomonte,
     420Stronzo d’Orlando, ambasciator de’ guai.
     Volgendo Lemizzon l’ardita fronte,
     Rispose: Al cospettazzo, e che dirai,
     Burto porco arlevò col pan de sorgo,
     424Se te fazzo sbalzar zoso in quel gorgo?

LIII.


Alza la ronca a quel parlar Sprangone,
     E mena per dividergli le ciglia.
     Lemizzone la targa al colpo oppone:
     428V’entra un palmo la punta, e vi s’impiglia.
     Ei la targa abbandona, e ’l rampicone
     Gli avventa all’elmo, e ne’ graticci il piglia;
     E tira con tant’impeto a traverso,
     432Che ’n riva al ponte il fa cader riverso.

LIV.


Sprangon tocca del cul sul ponte appena,
     Che balza in piedi, e la sua ronca gira
     Con quella targa infitta, e sulla schiena
     436Ferisce Lemizzon che si ritira.
     Lemizzon dell’uncino a un tempo mena;
     Ma non va il colpo ove drizzò la mira:
     Segnava alla visiera; e giù discese,
     440E nella stringa de’ calzoni il prese.