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DUODECIMO 213


XXXI.


Nè deve minor lode esser a nui
     Il conservar la libertade antica,
     Ch’agli altri l’occupar gli stati altrui,
     252E la fede ingannar di gente amica.
     Questo dico a chi tocca, e non a vui;
     Che se ’l Papa si studia e s’affatica
     Di porne in pace con paterno zelo,
     256Ne dobbiamo levar le mani al cielo;

XXXII.


Quantunque non rispondano alle prove
     Quel terzo ch’ei mandò di Perugini,
     E questo Monsignor che fa da Giove
     260Coi fulmini ch’avventa ai Ghibellini.
     Però s’amor, se carità lo muove,
     Se lo spirto di Dio spira i suoi fini,
     Deh cessi il mal influsso a questa terra,
     264E faccia il Papa agl’Infideli guerra:

XXXIII.


Che noi siam pronti a riverire i suoi
     Santi pensieri, e far ciò ch’egli impone,
     E a por liberamente in mano a voi
     268Ogni arbitrio di pace, ogni ragione.
     L’onore intatto resti, e sia di noi
     Quel che v’aggrada, acciò ch’al paragone
     Più non abbiamo a rassembrar bastardi
     272Tra i vostri figli agli altrui biechi sguardi:

XXXIV.9


Che quell’armi ch’or voi depor ci fate,
     Se verrà tempo mai ch’uopo ne sia;
     Se verrà tempo mai, che le chiamate
     276O in Mauritania, o ai regni di Soria;
     Vi seguiran nel mar fra l’onde irate,
     Vi seguiran per solitaria via;
     Saran le prime a disgombrarvi i passi
     280Onde alla gloria e alla salute vassi.