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UNDECIMO 191


VII.


Questi era un tal piccin pronto ed accorto,
     Inventor di facezie, e astuto tanto,
     Che non fu mai Giudeo sì scaltro e scorto,
     60Che non perdesse in paragone il vanto.
     Uccellava i poeti, e per diporto
     Spesso n’avea qualche adunata accanto;
     Ma con modi sì lesti e sì faceti,
     64Che tutti si partian contenti e lieti.

VIII.2


In armi non avea fatto gran cose;
     Però ch’in Roma allor si costumava
     Fare alle pugna, e certe bellicose
     68Genti il governator le gastigava.
     Ma egli ebbe un cor d’Orlando; e si dispose
     D’ire alla guerra perchè dubitava
     De’ birri, avendo in certo suo accidente
     72Scardassata3 la tigna a un insolente.

IX.


Il Conte allor che vide al vento sparsi
     Tutti i disegni, e ’l suo pensier fallace,
     Cominciò cogli amici a consigliarsi
     76Se v’era modo alcun di far la pace.
     Vorrebbe aver taciuto; e ritrovarsi
     Fuor della perigliosa impresa audace;
     Che sente il cor che teme e si ritira,
     80E manca l’ardimento in mezzo all’ira.

X.


Ma il Conte di Miceno, e ’l Potta stesso,
     E Gherardo e Manfredi e ’l buon Roldano
     Gli furo intorno, e ’l vituperio espresso,
     84Dov’ei cadea, gli fer distinto e piano.
     Indi promiser tutti essergli appresso,
     E la pugna spartir di propria mano.
     Ond’ei riprese core, e per padrino
     88S’elesse il Conte di san Valentino.