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138 | CANTO |
XXXV.
La squadra di Vicenza ultima guida
Nimiero Gualdi, alla sembianza fuore,
Amico d’Ezzelin che se ne fida;
284Ma non risponde alla sembianza il core:
Quel campo non avea scorta più fida:
D’ogni bellica frode era inventore;
Ma facea ’l goffo, e si tenea col papa,
288E nella finta insegna avea una rapa.
XXXVI.
Egli era un uom d’anni cinquantadui,
Dotto e faceto, e colle guance asciutte;
Solito sempre a dar la baia altrui,
292Che sapea tutti i motti di Margutte.12
Gran turba di villani avea con lui
Con occhi stralunati e cere brutte,
Ch’armati di balestre e ronche e scale,
296Nati apposta parean per far del male.
XXXVII.
Valmarana, Arcugnan, Pilla e Fimone,
Sacco e Spianzana guida, ove le chiome
Della Betia cantò sul Bacchiglione
300Begotto,13 e ’l volto e l’acerbette pome;
E dove la sampogna di Menone
Fe’ risonar della Tietta il nome;
E Montecchio e la Gualda, Olmo e Cornetto,
304E trenta ville e più di quel distretto.
XXXVIII.
Dopo l’ultime squadre il cavaliero
Che dovea comandar, solo veniva
Sovra un baio corsier macchiato a nero,
308Con armi di color di fiamma viva.
Ondeggiava sull’elmo il gran cimiero;
Pompeggiando il caval se stesso giva.
E avea dietro e dinanzi e d’ambo i lati
312Greci per guardia e Saracini armati.