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88 | CANTO |
LV.
Nomato era costui Filippo Ugone,
Brescian di quei dalla gorgiera doppia;
E di broccato indosso avea un robone
444Che stridea come sgretolata stoppia.
Secondavano il carro e ’l gonfalone
Quattrocento barbute21 a coppia a coppia,
Co’ cavalli bardati infino a terra,
448Ch’avea mandate Brescia a quella guerra.
LVI.
Seguiva il battaglion dopo costoro,
De’ petronici fanti e l’apparecchio.
Eran vintiseimila; e ’l duca loro,
452Il buon conte Romeo Pepoli vecchio,
Avea l’armi d’argento a scacchi d’oro
Fregiate; e Braccalon da Casalecchio
Col braccio manco e con la spalla destra
456Gli portava lo scudo e la balestra.
LVII.
Finita di passar la fanteria,
Passarono i cavalli in tre squadroni
Guidati da Bigon di Geremia,
460Ch’era in Bologna, in quell’età, de’ buoni;
E da due figli del Malvezzo Elia.
Perinto e Periteo, che fra i campioni
Del petronico stuol più illustri e chiari
464Risplendean gloriosi e senza pari.
LVIII.
Usciti in armi alla campagna quanti
Petroni e Romagnuoli avea la terra,
Marciar le schiere; e sette miglia avanti
468Presero alloggio, al solito di guerra.
Indi tosto ch’al re de’ lumi erranti
Le finestre del ciel l’alba disserra,
Al suon di mille trombe al mattutino,
472Fresco tornò l’esercito in cammino.