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Per mio conto tuttavia avrei giurato che in quell’ora ventilavano i più puri zeffiri del mare, e che la cappa del cielo era proprio così bella come assicura il Manzoni nei «Promessi Sposi».
Questo singolare fenomeno illusorio avveniva in me perchè in quell’ora il fresco maestrale della contentezza spirava nel mio cuore.
Ero io contento veramente in quell’ardente pomeriggio dell’undici luglio? Certo ero leggiero, leggiero come uno il quale, dopo essere rimasto tutta la giornata nelle strettoie d’un abito nero per assistere ad una interminabile cerimonia ufficiale, arriva a casa, si strappa il colletto e manda in aria il palamidone.
Precisamente: io ero stanco e greve e, ben ripensando, più che del lavoro giornaliero, io ero stanco della cerimonia ufficiale della vita, tanto stanco che in questo senso di tedio mi parve di essere meravigliosamente solo fra gli uomini, e ne ebbi paura come di un prodromo di malattia insanabile dell’anima.
Lo sforzo continuo di equilibrarmi con gli altri, di portare anch’io sopra il colletto un bel volto mansueto e cerimonioso, mi squilibrava sempre di più. Buttavo all’aria la carta