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Il Giornale di Sicilia continuò per lungo tempo a pubblicare indirizzi di fedeltà al Re e di riconoscenza al luogotenente, da parte dei municipii, in uno stile ch’è quanto si può immaginare di più caratteristico. In breve, l’antico regime fu restaurato in tutta l’Isola. Il Crispi, testimone non sospetto, dovè confessare, molti anni dopo, in un suo discorso, che la restaurazione dei Borboni fu rapida e parve un mistero.
Rimesso l’ordine, rinacque, un po’ per volta, la vita sociale coi suoi spettacoli e passatempi, profani e sacri. Si riaprì il teatro di Santa Cecilia con gli Esposti del maestro Ricci; una signora di Parigi, Eloisa Déhue, fondò un buon istituto di educazione per le signorine dell’aristocrazia e borghesia ricca; Gambina Fici, specialista di ritratti al dagherrotipo, ne fece una esposizione, che richiamò tutta la città, prima all’albergo di Sicilia, al Pizzuto, e poi nella tabaccheria del Castiglia, in via Toledo; e il duca di Caccamo, suscitando le critiche di tutta la nobiltà, faceva noto che affittava il suo casino di Mostazzola, sul quale il Meli aveva scritto questi dolcissimi versi, tant’anni prima:
Alla calma, alla pace, alla quiete |
Bisognava compiere l’opera e indurre il Re a visitare la Sicilia. Impresa non facile, dopo quanto era avvenuto, ma Filangieri conosceva i Siciliani, ed era sicuro della sua polizia. Far venire il Re in Sicilia, farvelo rimanere qualche tempo tra Palermo, Messina e Catania, era suggellare la pace tra l’Isola e la dinastia. Meno che odiare i Borboni, i Siciliani odiavano i Napoletani, non rassegnandosi alla perduta indipendenza. Certo, non era cosa agevole persuadere Ferdinando II a compiere quel viaggio, poiché nell’animo di lui eran rimasti vivi tutt’i ricordi del 1848; e coi ricordi, i rancori; e coi rancori, forse le paure. La Sicilia era stata riconquistata con le armi, dopo avere eletto un altro Re, figlio dell’odiato Carlo Alberto. Ferdinando II non