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Un divertimento, limitato a pochi signori e a parecchi rioohi borghesi, proprietarii di cavalli, era quello delle corse, che avevano luogo al campo di Marte, e la prima si teneva generalmente il giorno di san Giuseppe, 19 marzo. Non esisteva una società delle corse, come oggi, nè quelle cronache offrono nulla di piccante. A capo dei promotori era il conte d’Aquila; e i cavalli più accreditati quelli della razza Barracco: primi fra tutti Rischio, del quale Filippo Palizzi ha lasciato un mirabile ritratto, e un’Egeria, bellissima, che non volle mai contatti col maschio. Ginistrelli, che fu poi il più intelligente allevatore del puro sangue, cominciò a far correre i suoi cavalli, e i Farina di Baronissi e i Cassitto con lui e i Varo di Troja possedevano magnifiche razze. Ma, come ho detto, le corse di allora non sono da paragonate alle presenti, benché richiamassero gran folla al campo. La prima corsa dei Gentlemen italiani, per esempio, ebbe luogo a Napoli nel 1863, e chi vi portò la palma fu il giovane marchese Vittorio di Sant’Ella, forte e animoso, e allora tenente di cavalleria ed oggi in riposo col grado di colonnello. Non mancavano cavalli di altri paesi, e nel 1856 ne vennero dal Piemonte, ma furono clamorosamente battuti dai cavalli di casa Caracciolo di San Teodoro, come malinconicamente scriveva Cesare Casanova, che aveva scommesso per i cavalli del Piemonte. Anima di quella società era il Sant’Arpino, ma Giovanni Barracco, Ottavio Cassitto, Onorato Gaetani, principe di Piedimonte, e Odoardo Ginistrelli non erano da meno di lui nella passione dei cavalli. Il conte di Siracusa assegnava dei ricchi premii ai vincitori, e qualcuno ne assegnò il conte d’Aquila.
Altro divertimento, specialmente per la classe aristocratica, erano le lunghe passeggiate a cavallo nei dintorni di Napoli. Si mandavano i cavalli fuori della grotta di Pozzuoli, all’uscita della quale c’era allora un grande e lungo spazio sabbioso, che ora è scomparso sotto le molte e nuove costruzioni. Colà si montava, di rimpetto alla tomba di Leopardi, recitando spesso i suoi versi: Del barbarico sangue in Maratona, Non colorò la destra ecc. ecc. ed infatti non erano passeggiate senza pericoli.
"Voglio contarvene uno solo, corso da me stesso, mi scrive Giovanni Barracco: allora io montava un bellissimo cavallo della nostra razza, che si chiamava Malatesta, e dopo il fatto che sto per narrarvi fu chiamato Sardanapalo. Molti amici, conoscendo il vizio dell’animale, mi avevano con-